XI - La crisi e la fine

Ad Enrico Berlinguer successe come segretario generale Alessandro Natta, esponente del centro berlingueriano, e le elezioni regionali e amministrative del 12 maggio 1985, dopo il risultato dell’anno precedente, furono interpretate come una decisiva resa dei conti, in quanto nel caso in cui, come l’anno precedente, si fosse ripetuto il “sorpasso” il Pci avrebbe chiesto per se la Presidenza del Consiglio[1]. Ma la solita “paura del comunismo” alla quale fece appello la Dc costituì un’imbattibile arma per la “Balena bianca” che ottenne uno strepitoso successo, raggiungendo il 35% dei voti. Giunte del pentapartito furono formate quasi dappertutto e la Dc riuscì a strappare all’avversario anche la Regione Piemonte e il Comune di Roma, ultimi baluardi della poderosa avanzata del 1975. Al Pci, fermo al 30,2%, non restò che prendere atto della fine del “decennio rosso” nelle amministrazioni locali e dell’inizio di una crisi, confermata anche dalla sconfitta sul referendum sulla “scala mobile”, a questo punto, irreversibile.

Nell’aprile del 1986 fu tenuto, anticipatamente a causa della disfatta dell’anno precedente, il XVII Congresso nazionale del Pci. Come risposta alla crisi il gruppo dirigente del Partito tentò, grazie alla decisiva spinta dell’area “migliorista” di Napolitano, un riposizionamento internazionale del Pci proponendo il totale distacco dal movimento comunista[2] per essere, a tutti gli effetti, parte della sinistra europea socialista, socialdemocratica e laburista. A questa linea si oppose duramente un piccolo gruppo organizzato da Cossutta che, in minoranza all’interno del Partito, aveva dato vita ad una vera e propria corrente organizzata[3]. Alessandro Natta, facendo prevalere una sorta di continuità politica con Berlinguer, non volle arrivare alla svolta, alla quale giunse, pochi anni dopo, Achille Occhetto.

Il trend negativo del Pci proseguì anche nelle successive elezioni politiche anticipate del 1987[4] dove il Partito perse un nuovo 3,3% di voti rispetto alle precedenti consultazioni elettorali, che lo fece ritornare ai risultati degli anni precedenti alla grande avanzata. Invece la Dc, con l’1,4% di voti in più rispetto al 1983, poteva considerare superata la crisi e chiedeva con forza al Psi la restituzione della carica di Presidente del Consiglio. L’ennesimo insuccesso nelle amministrative del 1988 costrinse alle dimissioni Alessandro Natta. Il politico ligure aveva perso la fiducia della maggioranza del gruppo dirigente del Pci, ormai saldamente nelle mani di Achille Occhetto, che gli successe come segretario generale. Alle spalle di Occhetto c’erano un gruppo di giovani dirigenti, i cosiddetti “quarantenni” e il più importante di questi era senz’altro D’Alema. Massimo D’Alema, che ricoprirà nel Pci l’incarico di coordinatore della segreteria, era già stato Segretario nazionale della Fgci ai tempi di quell’Enrico Berlinguer che, primo fra tutti, nel 1949, aveva svolto lo stesso incarico.

Nel XVIII Congresso del Pci, del marzo 1989, Occhetto provò ad aprire una nuova fase per il Pci sancendo la fine del “consociativismo”, il riconoscimento del valore universale della democrazia e facendo numerose aperture nei confronti del sistema capitalistico e del “mercato”, misuratore di efficienza e fattore propulsivo del sistema economico [5]. Il nuovo corso di Occhetto sembrò dare immediatamente dei frutti in quanto le elezioni europee del giugno del 1989[6] segnarono un’inversione di tendenza nei risultati del Pci degli ultimi anni.

Ma il “Socialismo reale” si stava disintegrando e l’evento che meglio rappresentò, nell’immaginario collettivo, quel crollo fu la “caduta del muro di Berlino” della notte tra il 9 ed il 10 novembre del 1989. Le conseguenze anche in Italia furono immediate, il 12 novembre del 1989 Achille Occhetto, intervenendo davanti ad una platea di ex partigiani nella storica sezione della Bolognina, preannunciò “grandi cambiamenti”. Il leader del Partito propose, prendendo da solo la decisione, di andare ad una vera e propria “svolta” che preludeva al superamento del Pci e alla nascita di un nuovo partito[7]. Nel Partito si accese una discussione ed il dissenso, per la prima volta, fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Ingrao, Natta e Tortorella, oltre che Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta.

Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto un Congresso straordinario del Partito, il XIX, che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero:
- la prima mozione, intitolata “Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica” era quella di Occhetto, che proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice ed aperta a componenti laiche e cattoliche, che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di Segretario generale e la conferma della sua linea politica.
- la seconda mozione, intitolata “Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra” fu sottoscritta da Ingrao e, tra gli altri, da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Il Pci, secondo i sostenitori di questa mozione, doveva si rinnovarsi, nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi.
- la terza mozione, intitolata “Per una democrazia socialista in Europa” fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso ottenne solo il 3% dei consensi.

La svolta era passata, nei mesi successivi Occhetto puntellò la sua proposta scegliendo in ottobre il nome ed il simbolo del nuovo Partito: si sarebbe chiamato Partito democratico della sinistra (Pds) e il suo simbolo sarebbe stata una quercia alla cui base era presente il simbolo del Pci. Il Pci subì, negli ultimi suoi mesi, un crollo sia di iscrizioni che elettorale ottenendo alle elezioni regionali del 6 maggio 1990 solo il 23,4% a fronte del 33,4% della Dc.

Il XX Congresso, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, fu l’ultimo del Pci ed il primo del Pds. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, la prima, che ottenne il 72%, di Occhetto, D’Alema e molti altri dirigenti, favorevole al nuovo Partito, una mozione intermedia, capeggiata da Bassolino, e una terza contraria, nata dall’accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta presentate al precedente Congresso. Il 3 febbraio del 1991, dopo settanta anni di storia, si concluse la storia del Partito comunista italiano e nacque il Pds. Alcuni dei dirigenti che avevano osteggiato la svolta, e tra questi Armando Cossutta, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Rino Serri e Nichi Vendola, non aderirono al nuovo Partito e diedero vita a Rifondazione Comunista.


[1] Cfr. Colarizi op. cit.
[2] Non era però minoritaria la posizione di chi riteneva reali le possibilità, con l’avvento di Gorbaciov a capo del Pcus, di riforma del Comunismo mondiale.
[3] Cfr. Cossutta op. cit.
[4] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni per la Camera dei Deputati del 14 giugno 1987:
Pci 26,6% - Dc 34,3% - Psi 14,3%.
Il Pci ottenne 177 seggi alla Camera e 101 al Senato.
[5] Cfr. Agosti op. cit.
[6] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni Europee del 18 giugno 1989:
Pci 27,6% - Dc 32,9%.
Il Pci ottenne 22 seggi al Parlamento europeo.
[7] Cfr. Zavoli “C’era una volta la Prima Repubblica”, Mondatori.