V - Le basi della democrazia italiana

Il Partito Nuovo nel 1946, dopo la Liberazione, poteva considerarsi una realtà. Il Pci, con i suoi due milioni di iscritti[1], era diventato il più grande partito di massa dell’Italia del dopoguerra, con un eccezionale radicamento nelle “regioni rosse”[2], con una buona forza nelle città operaie del nord ed in costante crescita nelle campagne meridionali. Paradossalmente l’imponente mole organizzativa non si tramutò in un’identica forza elettorale, in quanto alle elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946[3] il Pci fu superato nettamente dalla Dc e, per poche migliaia di voti, dal Psi riportando 4.300.000 preferenze. Il Pci ottenne esclusivamente i consensi dei suoi militanti o simpatizzanti, quasi tutti operai, contadini o intellettuali, e non riuscì ad esercitare alcuna forza attrattiva verso altre classi sociali, in primo luogo nei confronti del “ceto medio”[4].

Le maggiori responsabilità furono imputate alla “doppiezza” del Pci, in altre parole a quell’atteggiamento equivoco che fu considerato poco rassicurante, e che teneva insieme due visioni politiche contrapposte: l’impegno nelle Istituzioni democratiche, che contraddistingueva la linea ufficiale, ed il legame con l’Unione Sovietica e le velleità rivoluzionarie, presenti in maniera cospicua nella base e nei dirigenti periferici. Nei militanti del Partito, infatti, emergeva ancora una volta, e si mantenne per moltissimi anni, il solito dualismo, che ha sempre caratterizzato la sinistra, tra il cosiddetto “cuore”, che sognava la Rivoluzione e il “Mito dell’Unione Sovietica”, e il “cervello”, che studiava le modalità per raggiungere la democrazia.

Togliatti, in prima persona, contrastò duramente le iniziative che oltrepassavano la linea ufficiale temendo che le stesse vanificassero gli importanti sforzi compiuti dal Pci per acquistare credibilità e per essere una forza che potesse ambire a conseguire democraticamente il governo del Paese. Togliatti in verità perseguiva con coerenza, e non con “doppiezza”, la scelta democratica, in quanto essa assumeva per lui un valore strategico e questa scelta non deve essere confusa con una “via meramente parlamentare e legalitaria”[5]. Inoltre Togliatti, ritenendo quasi superflui i piccoli partiti[6], preferì rapporti stretti con gli altri due partiti di massa e la sua linea politica si concretizzò con il conseguimento dell’unità sindacale[7], con la partecipazione e l’appoggio ai Governi nazionali[8], dal 1944 al 1947, e con il clima di collaborazione instaurato all’interno dell’Assemblea Costituente. Che fosse la paura di essere politicamente emarginato che spinse il Pci alla ricerca di queste convergenze è fuori discussione[9], ma, allo stesso modo, non sono opinabili gli altrettanto indiscussi benefici che questa linea politica portò alla giovane democrazia italiana.

La collaborazione nel governo tra le sinistre e la Dc non durò però a lungo. Le difficoltà di reggere politiche non propriamente “popolari” tipiche di un periodo d’austerità come quello del dopoguerra si fecero sentire nelle sinistre e soprattutto nel Pci. Allo stesso tempo le pressioni sulla Dc delle ali più conservatrici della Chiesa e, ancora di più degli americani, che si manifestarono in maniera evidente nel famoso viaggio del gennaio del 1947 negli Usa di De Gasperi, divennero fortissime e non più eludibili. Infatti, l’Italia, a causa della sua fragilità economica, aveva la necessità di aiuti finanziari e gli Usa subordinarono gli stessi alla cacciata delle sinistre dal governo da parte dello Statista trentino. La svolta fu ratificata nel maggio del 1947 con la formazione di un nuovo Gabinetto De Gasperi privo del Pci e del Psi: da quel momento in poi il Pci non rientrò mai più nel Governo dell’Italia.

A differenza di quanto avvenuto nella maggioranza governativa, l’Assemblea Costituente continuò i suoi lavori nel medesimo clima di collaborazione e quei giorni furono ricordati come una delle più belle pagine della storia politica italiana. Va segnalata, in particolar modo, la lungimiranza politica di Palmiro Togliatti, che fu testimoniata anche da alcune clamorose posizioni[10], e che poneva, davanti a tutto, la nascita e la crescita della democrazia italiana, di cui il Pci sarebbe dovuto essere uno dei pilastri. Togliatti, che temeva molto le possibili reazioni della base del Partito alla cacciata dal governo, diede questa “risposta democratica” per smentire tutti quelli che affermavano che “i comunisti una volta al potere non lo lasciano più”[11].

Gli sforzi furono premiati e nel gennaio del 1948 fu approvata la nuova Costituzione, molto “avanzata” nei principi e nei contenuti, e la completa attuazione della stessa rappresentò il principale programma politico su cui fece leva il Pci negli altri suoi quarantacinque anni di vita. La linea politica del Pci non piacque agli altri partiti comunisti, i quali nella Conferenza di Szklarska Poreba in Polonia del settembre del 1947[12], con un particolare accanimento soprattutto del partito jugoslavo, misero sotto accusa l’intero gruppo dirigente del Pci, che in quella circostanza era guidato da Luigi Longo. Anche in questo caso Togliatti, a malincuore, operò un ennesimo cambio di rotta teso ad uniformare le posizioni del Pci a quelle delle altre forze comuniste. Nel VI Congresso del Pci, svoltosi a Milano nel gennaio del 1948, fu “messa da parte” l’originale idea di una “via italiana al Socialismo” e accentuata la propensione dell’organizzazione verso il “Partito dei quadri” più consono all’ortodossia marxista-leninista.

Il Psi attraversò in quel periodo una crisi ancora più profonda. La scissione di Palazzo Barberini del gennaio del 1947 operata dal gruppo socialdemocratico di Saragat, e che indebolì il Psi di almeno un terzo dei consensi elettorali, provocò una ferita nel partito più antico d’Italia che, nei fatti, non fu mai rimarginata. Questo evento consegnò al Pci, da quel momento in poi, l’egemonia della sinistra italiana e creò un ribaltamento nei rapporti di forza atipico per l’Europa occidentale, dove era più usuale la presenza di un Partito socialista egemone e di governo e di un Partito comunista subalterno ad esso. Gli analisti politici individuarono anche in questa anomalia “tutta italiana” una delle cause principali del blocco del sistema politico italiano, definito con i termini di “bipartitismo imperfetto” o “pluralismo polarizzato”, unico in Europa e nei paesi democratici a non essere caratterizzato da quel vitale meccanismo democratico che è l’alternanza[13]. Se da un lato, con la scissione, il Psli[14] di Saragat andò ad aggiungersi alla schiera dei piccoli partiti che gravitavano intorno alla Dc creando un blocco moderato molto coeso, dall’altro il Psi di Nenni rafforzò i già saldi rapporti con il Pci[15].

Il clima che portò alle elezioni del 18 aprile del 1948[16] fu quello di una vera e propria resa dei conti. Si fronteggiarono due idee contrapposte di società: le sinistre fecero leva sul sentimento di rivalsa degli operai e dei contadini, mentre la Dc, per accattivarsi anche i consensi di quelli che non erano i suoi elettori tradizionali, puntò tutto sull’anticomunismo e sui valori di democrazia e libertà[17]. La Dc, anche grazie all’aiuto politico della Chiesa, che mosse tutta la sua imponente struttura, e all’aiuto non solo economico degli Usa[18], uscì vincitrice da quello scontro epocale ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Il Fronte Democratico Popolare, che si presentò con un unico simbolo, recante l’effige di Garibaldi, restò molto al di sotto della somma dei voti riportati dal Pci e dal Psiup nel 1946. Il risultato, eccessivamente negativo del Fronte, è spiegabile oltre che per la nascita della lista di Saragat, anche per una “consuetudine” della politica italiana: l’accorpamento di più liste produce, molto spesso, meno voti rispetto alla somma delle stesse. La vittoria della Dc in quelle elezioni rappresentò un momento decisivo per la storia del Paese. L’Italia decise il 18 aprile 1948 di essere parte integrante del campo occidentale e il voto ebbe anche l’effetto di consolidare una democrazia basata sulla molteplicità di partiti, e che rifiutava, definitivamente e diversamente dai paesi dell’est Europa, l’opzione della democrazia socialista.


[1] I dati del tesseramento dimostrano che il Pci superò i due milioni di iscritti fino al 1956.
Nello specifico segnaliamo i dati.di tesseramento del Pci dal 1946 al 1956:
1946: 2.068.272 iscritti; 1947: 2.252.446 iscritti; 1948: 2.115.232 iscritti; 1949: 2.027.271 iscritti; 1950: 2.112.593 iscritti; 1951: 2.097.830 iscritti; 1952: 2.093.540 iscritti; 1953: 2.134.285 iscritti; 1954: 2.145.317 iscritti; 1955: 2.090.006 iscritti; 1956: 2.035.353 iscritti.
Cfr. dal web Istituto Cattaneo – Archivio Adele.
[2] In ordine d’importanza nel radicamento del Pci: Emilia Romagna, Toscana ed Umbria.
[3] Le elezioni per la Costituente furono tenute lo stesso giorno del Referendum che sancì con il 54% dei voti l’inizio dell’era repubblicana e la fine della Monarchia.
Risultati dei tre maggiori partiti alle elezioni per l’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946:
Pci 18,9% - Dc 35,2% - Psi 20,7%.
Il Pci ottenne 104 seggi nell’Assemblea Costituente.
[4] Cfr. Agosti “Storia del Pci”, Editori Laterza.
[5] Cfr. Pistillo “Pagine di storia del Partito Comunista Italiano”, Lacaita Editori.
[6] Cfr. Andreotti “Visti da vicino”, Rizzoli.
Giulio Andreotti racconta in un suo ritratto di Togliatti di avere ascoltato, durante un incontro politico che vedeva la partecipazione di tutti i partiti antifascisti, dalla viva voce del Segretario del Pci la frase “piccoli partiti, piccole idee”.
[7] Dal 1944 fu rifondata la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro) con l’impegno unitario delle tre correnti principali: l’area comunista, quella socialista e quella cattolica. I Segretari nazionali della Cgil, dal dopoguerra alla fine del Pci, sono stati Di Vittorio (1944-1957), Novella (1957-1970), Lama (1970-1986), Pizzinato (1986-1988), Trentin (1988-1994)
[8] I Ministri del Pci nei Governi Bonomi, Parri e De Gasperi furono:
Togliatti, Scoccimarro, Gullo, Ferrari, Pesenti, Sereni.
Cfr. “Almanacco Pci 75” e “Almanacco Pci 76”, Sezione centrale stampa e propaganda Pci.
[9] Cfr. Agosti op. cit.
[10] Una posizione del Pci, durante i lavori dell’Assemblea costituente, che creò frizioni anche con gli stessi socialisti fu quella di non opporsi a continuare a ritenere validi i Patti Lateranensi.
Cfr. Colarizi “Storia dei partiti nell’Italia repubblicana”, Editori Laterza.
[11] Cfr. Pistillo op. cit.
[12] La Conferenza diede vita ad un Ufficio informazioni (Cominform) che sostituì di fatto il Comintern.
Cfr. Agosti op. cit.
[13] Cfr. Galli “Storia del Pci”, Kaos edizioni, Galli “Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia”, il Mulino e Sartori “Teoria dei partiti e caso italiano”, Sugarco.
[14] In seguito il Psli mutò denominazione in Psdi.
[15] I rapporti tra il Pci ed il Psi erano molto stretti già da prima della Liberazione al punto che più volte era stata proposta la fusione tra i due partiti.
Cfr. Longo “Ipotesi di una fusione tra comunisti e socialisti” e “Per la creazione del partito unico della classe operaia e dei lavoratori” saggi tratti da “I comunisti e l’unità della classe operaia” a cura della sezione centrale Scuole di Partito del Pci.
[16] Risultati delle due maggiori liste alle elezioni per la Camera dei Deputati del 18 aprile 1948:
Fronte Democratico Popolare 31% - Dc 48,5%.
Il Fronte Democratico Popolare ottenne 187 seggi alla Camera e 72 al Senato.
[17] Cfr. Colarizi op. cit.
[18] L’aiuto degli Usa alla Dc si manifestò nelle forme più disparate che andavano dai messaggi radio alle lettere degli emigrati italiani in America. Cfr. Pistillo op. cit.