VII - Il centro-sinistra

Con il boom economico del paese diventavano necessarie nuove politiche volte alla ridistribuzione delle ricchezze in maniera tale che anche la classe lavoratrice, migliorando il proprio tenore di vita, potesse “consumare” i prodotti italiani. Il coinvolgimento di almeno una parte della rappresentanza politica della classe operaia a queste nuove scelte divenne allora un elemento ineludibile ed il Psi, dal 1956, aveva iniziato, allontanandosi dal Pci, ad avvicinarsi alla Dc.

La nuova svolta nella politica italiana fu il frutto del lavoro dello statista pugliese Aldo Moro che, con accelerazioni improvvise e con brusche frenate, segnò i tempi dell’operazione d’avvicinamento, con il Governo Fanfani detto anche “delle convergenze parallele”, e dell’entrata dei socialisti di Nenni, con i suoi tre Governi dal 1963 al 1968. Il Pci, nella sua maggioranza[1], pur essendo consapevole che il centro-sinistra avrebbe messo fine all’unità delle forze operaie, individuò nel nuovo quadro politico un più avanzato terreno di lotta e questa posizione fu rafforzata dal X Congresso del Pci che, svoltosi nel dicembre del 1962, oltre a sostenere con forza l’istituzione del nuovo Ente Regione e l’allargamento dei poteri delle autonomie locali in genere, si soffermò a lungo sulle potenzialità della nuova fase politica. L’obiettivo principale che il Pci di Togliatti chiedeva al centro-sinistra sarebbe dovuto essere l’attuazione della Costituzione[2].

La linea politica del Pci di questi anni verso il Governo si poteva riassumere in una opposizione “morbida” in Parlamento, ma che ritornava ad essere dura nelle piazze e nel Paese[3]. Questa posizione portò indubbi benefici al Pci e le elezioni del 1963[4] videro una consistente avanzata dei comunisti. Il brillante risultato, conseguito nonostante il costante calo degli iscritti degli ultimi anni, dimostrò che il Pci aveva cominciato a mietere consensi anche oltre il proprio tradizionale elettorato e che aveva sfruttato al meglio i nuovi spazi politici che si erano creati con l’entrata del Psi al Governo. Il Pci cominciava con queste elezioni, facendo breccia anche nel cosiddetto elettorato d’opinione, quell’ascesa che di lì a pochi anni avrebbe portato il Partito a diminuire costantemente la distanza dalla Dc fino alla possibilità, verificatasi solo nelle elezioni europee del 1984, di realizzare il tanto atteso “sorpasso”. Oltre ad un leggero calo dei socialisti, va ricordato, di quella tornata elettorale, il grosso spostamento di voti dalla Dc al Pli, che guadagnò il 3,5% dei voti rispetto al 1958, raggiungendo il 7%. Una consistente fetta di elettorato non aveva gradito lo spostamento a sinistra della Dc e si era spostata sui più tranquillizzanti, e più conservatori, lidi liberali.

Negli anni successivi fu più chiaro lo scopo di Aldo Moro che era quello di mantenere intatta la “centralità” democristiana e si può affermare che almeno quell’obiettivo fu ottenuto se si considerano i contenuti programmatici, non propriamente riformatori, dei governi e le difficoltà a cui andò incontro il Psi in quegli anni, schiacciato tra Dc e Pci, nel giustificare il proprio ruolo nel Governo[5]. Il Pci, temendo che una buona riuscita del centro-sinistra potesse rafforzare la “conventio ad escludendum” nei suoi confronti, si tranquillizzò nel momento in cui prese atto delle difficoltà dei Governi Moro[6] e riprese le proprie manovre attaccando continuamente il Psi e lavorando per spingere la sinistra dello stesso partito verso la scissione.

Il 21 agosto del 1964 morì a Yalta Palmiro Togliatti. I suoi funerali, che videro la partecipazione di oltre un milione di persone, costituirono il più imponente momento di partecipazione popolare che la giovane Repubblica italiana aveva conosciuto fino a quel momento. L’ultimo documento di Togliatti, che costituiva il testamento politico del Migliore e che fu ricordato come il “memoriale di Yalta”, ribadiva l'originalità e la diversità di vie che avrebbero consentito la costruzione di società socialiste, “unità nella diversità” del movimento comunista internazionale.

Il Pci lasciato da Togliatti era un Partito che, pur continuando a rimanere ancorato al “centralismo democratico”, cominciava a sentire l’esigenza di rendere visibili quelle che, al suo interno, erano le diverse sensibilità e opzioni politiche. Il primo Congresso dopo la morte del Migliore, l’XI svoltosi nel gennaio del 1966, fu il teatro del primo scontro svoltosi “alla luce del sole” dalla nascita del Partito nuovo. Le due linee politiche che si fronteggiarono furono quella di “destra” di Amendola, che chiedeva l’unità con i socialisti e un’urgente riforma delle Istituzioni dello Stato nella direzione di una maggiore partecipazione democratica, e quella di “sinistra” di Ingrao, che vedeva nell’organizzazione di massa la migliore risposta alla nuova conflittualità operaia riemersa in quegli anni. Amendola, sebbene da solo non avesse la maggioranza assoluta, mandò Ingrao in minoranza. Il voto contrario di Ingrao, per l’autorevolezza dell’esponente comunista che godeva di numerosi consensi sia all’interno che all’esterno del Partito, sancì, per la prima volta, la legittimità al dissenso politico.

Il lavoro di sintesi, rivolto al “rinnovamento nella continuità”, tra le diverse anime del Partito suggellò la leadership di Luigi Longo, eletto Segretario generale dopo la morte di Togliatti e degno continuatore delle politiche del defunto leader. Nel ruolo di successore di Togliatti i due candidati più forti erano proprio Amendola ed Ingrao, ma Longo, per le garanzie di unità e continuità che dava la sua figura, che aveva ricoperto con Togliatti la carica di vicesegretario e aveva sempre con lealtà ed efficacia coadiuvato il Segretario, costituiva la soluzione migliore per la segreteria del Partito[7]. Come ha giustamente ricordato Armando Cossutta “se Togliatti fu il grande protagonista della linea politica e della strategia dei comunisti, Longo ne fu l’intelligente costruttore”[8]. Sin da allora al giovane Enrico Berlinguer fu affidato il compito di affiancare Longo. Fu evidente a tutti che il Partito, con quella mossa, aveva già scelto il suo futuro leader[9]. Ma d'altro canto nonostante il caso di Ingrao può essere considerato di indubbia valenza politica e storica, gli avvenimenti degli anni successivi, in primis la vicenda del gruppo del “Manifesto”, dimostrarono che la strada che avrebbe dovuto condurre il Pci al superamento del metodo del “centralismo democratico” era ancora tutta da percorrere.

Le elezioni del 1968[10] mostrarono chiaramente che i principali sconfitti nei Governi di centro-sinistra furono i socialisti. Per dare maggiore forza all’area di sinistra che si trovava al governo del Paese e per isolare definitivamente il Pci, il Psi e il Psdi avevano formato il Psu (Partito socialista unificato). Il nuovo partito, che si poneva gli ambiziosi obiettivi di competere con i comunisti per l’egemonia della sinistra da un lato e di creare le condizioni per “l’alternativa alla Dc” dall’altro, fu sonoramente sconfitto nella tornata elettorale del maggio di uno degli anni “più caldi” della storia italiana. Il Psu ottenne, anche a causa della scissione dell’ala sinistra del Psi che formò il Psiup[11], molto meno della somma di quello che i due partiti che lo componevano avevano riportato alle precedenti elezioni e la debacle portò al tramonto dell’opzione “terzista” e , di li a poco, ad una nuova scissione tra il Psi ed il Psdi. D’altro canto la Dc recuperò, probabilmente alla sua destra, lo 0,8%, mentre i veri vincitori furono i comunisti, i quali trassero i maggiori vantaggi dalle mancate risposte del centro-sinistra e proseguirono lentamente, scacciando tutte le ventilate ipotesi di crisi, nella loro ascesa.


[1] L’esponente del Pci che si è battuto maggiormente per l’approvazione di questa linea fu Amendola, che riuscì a convincere anche Togliatti. Cfr. Rossanda “La ragazza del secolo scorso”, Einuadi.
[2] Cfr. Agosti op. cit.
[3] Cfr. Colarizi op. cit.
[4] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni per la Camera dei Deputati del 28 aprile 1963:
Pci 25,3% - Dc 38,3% - Psi 13,8%.
Il Pci ottenne 175 seggi alla Camera e 85 al Senato.
[5] Cfr. Rossanda op. cit.
[6] Aldo Moro, considerato unanimemente tra i migliori politici italiani, non fu parimenti grande come uomo di governo. Le sue eterne mediazioni, che avevano ottenuto numerosi e indiscutibili successi nella politica, si scontravano con la necessità della decisione immediata tipica invece di chi si trova ad occupare un ruolo di governo. Cfr. Pietra “Moro fu vera gloria?”, Garzanti, cfr. Andreotti op. cit., cfr. Colarizi op. cit.
[7] Cfr. Rossanda op. cit.
[8] Cossutta, op. cit.
[9] Affiancare Longo nella direzione del Partito rappresentò per Berlinguer un’occasione di maturazione prima di andare a ricoprire l’incarico più prestigioso. Il peso di Berlinguer inoltre ebbe occasione di crescere sempre di più negli anni successivi anche a causa della malattia che negli ultimi tempi di segreteria impediva a Longo una piena attività politica.
[10] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni per la Camera dei Deputati del 19 maggio 1968:
Pci 26,9% - Dc 39,1% - Psu 14,5%.
Il Pci ottenne 177 seggi alla Camera e 101 al Senato (con il Psiup).
[11] La parte maggioritaria del Psiup confluì nel 1972 nel Pci. Delle sue due minoranze interne la più grande formò il Pdup e la più piccola rientrò nel Psi.