VIII - Il ’68 e il superamento del centro-sinistra

Nonostante il Pci continuasse, dopo le elezioni del 1968, ad essere escluso dall’area di governo, il Partito dimostrava di essere cresciuto e non solo dal punto di vista elettorale. Importante, nel processo di maturazione del Pci, volto all’assunzione di una nuova mentalità “di governo” e alla piena emancipazione dall’Urss, fu la posizione di simpatia e di vicinanza verso l’esperienza cecoslovacca della “primavera di Praga” e verso il leader dei comunisti cecoslovacchi Dubcek, che fu il vero protagonista del movimento di rinnovamento. A differenza di quanto era avvenuto nel 1956 in Ungheria, l’uso della forza dell’Unione Sovietica fu duramente condannato dal Pci, che con questo atto iniziò concretamente il suo distacco dal potente e ormai ingombrante alleato[1].

Il cammino, però, che avrebbe portato all’effettiva autonomia del Pci era ancora lungo ed il Partito circoscrisse il dissenso dall’Urss alla questione della Cecoslovacchia. Questa eccessiva prudenza nell’accelerare il distacco dall’Urss e l’accusa di incapacità di gestire e dare risposte, nonostante il personale impegno di Longo, a quelli che furono i movimenti degli studenti e degli operai del 1968-69 portarono all’opposizione, all’interno del Partito, del gruppo del “Manifesto” di Pintor, Rossanda, Magri, Castellina e Parlato, esponenti politici che erano stati molto vicini alle posizioni di Ingrao[2]. La radiazione dell’intero gruppo del 1969, anche se avvenuta dopo un notevole dibattito tra gli organismi dirigenti, mise in luce le carenze nella democrazia interna del Pci e l’incapacità del Partito, nonostante il precedente, pur differente, di Ingrao[3], di tollerare al suo interno posizioni nette di dissenso.

L’avvenimento che più d’ogni altro ci permette di ricordare il 1968 fu senza dubbio quell’incredibile movimento volto alla liberalizzazione dei costumi e al superamento della società che, partendo dalle Università, coinvolse, travolgendolo, l’intero Paese, e che prese appunto il nome di “movimento del sessantotto”. Il Pci fu colto di sorpresa da questa incredibile ondata e le reazioni di alcuni dirigenti furono quasi di fastidio nei confronti di un movimento giovanile estremamente ideologizzato che aveva la chiara intenzione di non prendere ordini da nessuno[4]. In quel movimento si cominciavano ad esplorare altre vie e si facevano avanti con forza i nuovi modelli della Cina di Mao e della Cuba di Fidel Castro e Che Guevara. Il Pci era ancora un referente importante e, dopo un iniziale sbandamento, il Partito, a differenza di quando sarebbe capitato qualche anno dopo, riuscì a mantenere aperto un dialogo con la nuova generazione che si ribellava[5]. Il protagonismo giovanile, al quale si aggiunse, in stretta relazione con esso, un nuovo protagonismo operaio[6], metteva oggettivamente in difficoltà un partito che non aveva mai creduto alla possibilità che, spontaneamente e autonomamente, ampi settori della società potessero ribellarsi e progettare un mondo migliore.

Nel XII Congresso del PCI, quello che elesse vicesegretario generale Enrico Berlinguer preparando di fatto la successione a Luigi Longo e che si tenne nel febbraio del 1969, fu ridefinita, alla luce del recente movimento, la via italiana al Socialismo attraverso una strategia delle riforme e fu precisato l'obiettivo politico di “un governo orientato a sinistra”, aperto verso le spinte nuove della società[7].

Il Pci, essendo opposizione politica in Parlamento, spinto dalla necessità di non perdere il contatto con l’opposizione sociale, riuscì senza dubbio ad incanalare almeno una parte del movimento, ottenendo ovviamente risultati migliori nelle fabbriche tra gli operai, anche grazie alla nascita dell’unità sindacale tra Cgil, Cisl e Uil, che tra gli studenti, alla maggioranza dei quali l’attenzione con la quale il Pci cercava di salvaguardare l’organizzazione democratica del Paese non piacque molto e sembrò essere “oppressiva”[8]. Il Pci non riuscì ad impedire, per la prima volta, la nascita alla sua sinistra di un’area politica “extraparlamentare”, sbocco altro di quella parte di movimento che non si lasciò conquistare dal riformismo democratico del maggiore partito della sinistra. Questa frattura, che all’inizio non sembrò molto grave, in quanto minoritaria, finì per acuirsi negli anni successivi, con conseguenze che oltrepassarono le previsioni[9].

Il Pci, come dimostrarono i risultati elettorali e politici degli anni successivi, trasse sicuramente benefici dal “sessantotto” nel medio e lungo periodo, ma nel breve periodo i rapporti di forza politici con gli altri partiti di governo non mutarono[10]. Inoltre si manifestarono, in maniera oscura, spinte conservatrici che si contrapponevano al cambiamento e proprio in questo contesto che vi fu la terribile strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969. Il caso, che a distanza di anni mantiene inalterate le sue ombre, fu utilizzato dai settori più conservatori della Dc e della maggioranza di governo, che, con la “teoria degli opposti estremismi”, provavano a mettere in guardia l’opinione pubblica “benpensante” da quelli che ritenevano essere pericolosi cambiamenti politici[11]. L’elezione a Presidente della Repubblica del democristiano Leone nel 1971, votato anche dalle destre, e la nascita di un Governo Andreotti che escludeva anche il Psi dalla maggioranza, dimostrarono che i rapporti di forze all’interno delle Istituzione democratiche non volgevano a favore delle sinistre.

Il centro-sinistra intanto aveva fatto il suo tempo e la crisi definitiva della formula politica coniata da Aldo Moro portò nel 1972, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, alle elezioni politiche anticipate. I risultati delle elezioni del 1972[12] videro una sostanziale tenuta della Dc e del Pci, il consolidarsi del declino del Psi e una consistente avanzata del Msi-Destra Nazionale[13] che salì all’8,7%.Le elezioni del 1972, come anche le prime elezioni regionali del 7 giugno 1970, nelle quali il Pci aveva ottenuto, nelle 15 regioni a Statuto Ordinario, il 27%, contro il 38% della Dc, ed aveva guadagnato il governo di Emilia Romagna, Toscana ed Umbria, dimostrarono che i risultati dell’ondata del “sessantotto” non si erano ancora manifestati, mentre fu chiaramente visibile la risposta conservatrice.


[1] Cfr. Agosti “Storia del Partito Comunista Italiano 1921 – 1991”, Editori Laterza.
[2] Cfr. Rossanda “La ragazza del secolo scorso”, Einaudi.
[3] Cfr. Rossanda op. cit.
[4] Cfr. Rossanda op. cit.
[5] Cfr. Agosti op. cit.
[6] La stretta relazione con il movimento studentesco ha portato qualcuno a parlare di esistenza per il movimento operaio di “un caso italiano”. Cfr. Grisoni e Portelli “Le lotte operaie in Italia dal 1960 al 1976”, Biblioteca Universale Rizzoli.
[7] Cfr. “Almanacco Pci ‘75” a cura della sezione centrale stampa e propaganda Pci.
[8] Cfr. Agosti op. cit.
[9] Cfr. Zavoli “La notte della Repubblica”, L’Unità.
[10] Cfr. Colarizi “Storia dei partiti nell’Italia repubblicana”, Editori Laterza.
[11] Cfr. AA.VV. “L’Italia della P2”, Arnoldo Mondatori Editore.
[12] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni per la Camera dei Deputati del 7 maggio 1972:
Pci 27,1% - Dc 38,7% - Psi 9,6%.
Il Pci ottenne 188 seggi alla Camera e 94 al Senato (con il Psiup).
[13] Lista costituita da Msi e Monarchici.