VI - L’opposizione negli anni del “centrismo”

Nel Pci la terribile sconfitta del 1948 non mise in discussione la leadership di Togliatti che rimase saldamente al timone del Partito coadiuvato dai vicesegretari Luigi Longo e Pietro Secchia. La struttura organizzativa marxista-leninista, emersa dopo il VI Congresso[1], agevolò la tenuta senza traumi del gruppo dirigente come anche dimostrarono i giorni successivi al 14 luglio 1948, quando lo stesso Togliatti rimase vittima di un attentato per opera di un giovane fanatico. Furono Longo e Secchia, almeno nel momento in cui Togliatti lottava tra la vita e la morte, a prendere in mano le redini del Partito e a bloccare i tentativi di insurrezione della base. Infatti erano ancora attive le “aree meglio organizzate” delle squadre partigiane, e queste possedevano ancora un discreto arsenale che aumentava continuamente anche perché in quei giorni, in molte città, venivano con facilità disarmate le Forze dell'ordine[2]. Quando fu fuori pericolo, lo stesso Togliatti, dal letto di ospedale, si affrettò a riportare l’ordine nel Partito con la storica frase in cui chiedeva alla base di “mantenere la calma”[3]. L’attentato non fu privo di conseguenze politiche: la Cgil di Di Vittorio, che aveva promulgato subito dopo l’attentato lo sciopero generale, per le polemiche successive a questa decisione, si divise e proprio questo divenne, inserito nelle mutate condizioni politiche, l’evento scatenante che provocò la scissione della corrente cattolica, che diede vita alla Libera Cgil, in seguito Cisl, e di quella socialdemocratica e repubblicana, che fondò la Uil[4].

Gli anni della prima Legislatura repubblicana non furono semplici per il Pci, sottoposto com’era, al fuoco incrociato di Governo e Chiesa. Il Governo, anche utilizzando mezzi come la “celere” di Scelba, praticò una sistematica repressione delle pur numerose iniziative di protesta nelle fabbriche e nelle campagne organizzate dal Pci e dalla Cgil. La Chiesa, che già aveva avuto un ruolo molto attivo nelle elezioni del 1948, proseguì con la propaganda contro il Pci e la Cgil[5] che culminò con la scomunica nei riguardi di coloro che si professavano comunisti o appoggiavano le liste socialcomuniste. L’unità con i socialisti, che continuava nella Cgil e nelle Amministrazioni rosse presenti soprattutto in Emilia, Toscana ed Umbria, l’organizzazione marxista-leninista, le lotte nelle fabbriche del centro-nord e soprattutto nelle campagne del Mezzogiorno, e una sempre maggiore penetrazione nella cultura e nella società italiana, che si palesarono ad esempio nelle lotte contro il nucleare, evitarono al Pci di cadere in un grave isolamento. Molto importanti per il Pci furono anche i movimenti per la pace, nati dopo l’inizio della guerra di Corea del 1950, che impegnarono tutto il Partito, con l’importante partecipazione della ricostituita Fgci[6], soprattutto dopo il VII Congresso nazionale che si tenne a Roma nell’aprile del 1951.

Dopo poco tempo il Partito riuscì ad uscire da questa posizione di difesa e ritornò a crescere ricominciando la sua fase di espansione testimoniata dall’avanzata alle elezioni amministrative del 1951 e 1952[7]. Ma i segnali più evidenti di ripresa si videro in seguito, soprattutto con le elezioni politiche del 1953. La Dc di De Gasperi, attuando non poche forzature, fece approvare una nuova Legge elettorale che concedeva, alla coalizione che superava il 50% dei voti, un cospicuo premio di maggioranza che permetteva di raggiungere il 65% dei seggi. Il timore della Dc di non ripetere l’exploit del 1948 era evidente e la reazione del Pci, coadiuvata alacremente dalla Cgil, che convocò un nuovo sciopero generale verso quella che fu ribattezzata “Legge truffa”, fu feroce. La coalizione centrista, per 57.000 voti, non raggiunse la maggioranza assoluta ed il mancato obiettivo insieme con il forte arretramento della Dc[8], segnò la fine dell’era De Gasperi. Il Pci, capitalizzando un quinquennio di lotte sociali e politiche[9], superò i sei milioni di voti, ma la soddisfazione per il duplice risultato conseguito, fallimento della Legge truffa e primato indiscusso nella sinistra italiana, con quasi 10 punti percentuali sul Psi, fu di breve durata, in quanto la Dc era ancora saldamente al governo del Paese e le sinistre nel complesso avevano ancora un ruolo politico marginale.

Anche i mutamenti sociali non sembravano andare in una direzione che avrebbe potuto portare giovamento al Pci. L’aumento della richiesta di manodopera spinse verso i centri urbani, verso nord e verso l’estero grosse masse di lavoratori, i quali, avendo da risolvere gravi problemi nell’immediato, erano poco interessati alle lotte ideali per il cambiamento della società[10]. Significativo, sotto questo punto di vista, fu la vittoria della Cisl, ai danni della Cgil, nelle elezioni per le commissioni interne della Fiat nel 1955. Per i comunisti del Partito e della Cgil quella fu un’importante occasione di riflessione. Di Vittorio pronunciò nel Direttivo della Cgil una famosa autocritica che fu destinata a mutare l’intera organizzazione della Cgil[11].

Nel tentativo di uscire da questa scomoda situazione, le sinistre, soprattutto il Psi, tentarono un avvicinamento all’area di governo e l’elezione a Presidente della Repubblica di Gronchi con il voto determinante delle sinistre nel 1955 e l’astensione del Pci e del Psi sul voto di fiducia al Governo Segni all’inizio del 1956[12], furono gli atti politici più importanti di questa strategia. Cambiamenti vi furono anche nell’organizzazione del Pci, in quanto la struttura marxista-leninista aveva reso palesi tutti i limiti che aveva nel cogliere a pieno tutti i cambiamenti economici e sociali del Paese. A farne le spese, tra i maggiori dirigenti, fu Secchia che perse l’incarico di vicesegretario. La classe dirigente fu gradualmente rinnovata, mentre il Partito abbandonò, almeno in parte, l’organizzazione marxista-leninista per riprendere, sempre di più, le forme di quel “partito nuovo” tanto caro a Togliatti.

Il 1956 fu un anno fondamentale nella storia del Pci. Con il XX Congresso del Partito comunista sovietico, la cui guida era passata, dopo la morte di Stalin nel 1953, nelle mani di Chruscev, fu messa duramente sotto accusa l’intera politica del più importante dittatore sovietico, e fu condannato l’uso del “culto della personalità”. Le reazioni del Pci, almeno in un primo momento, furono prudenti e si limitarono a porre l’accento sul carattere innovativo della svolta sovietica, sottolineando, in particolar modo, la giustezza delle originali scelte che il Pci aveva fatto negli anni precedenti[13]. Fu Togliatti, nei mesi successivi, con un’intervista al giornale “Nuovi argomenti”, ad imprimere una svolta nella posizione del Pci. Il “Migliore”[14], calcando la mano sull’eccessiva burocratizzazione dello Stato, denunciò senza mezzi termini le “degenerazioni” del sistema sovietico che avevano condotto al culto della personalità. Con quella presa di posizione Togliatti cominciò a mettere in discussione l’idea stessa di “modello sovietico”. Ma la strada che avrebbe dovuto portare ad una piena autonomia del Pci era ancora lunga e quando il governo comunista polacco represse con la forza le manifestazioni operaie, il gruppo dirigente del Pci si allineò alle posizioni del Partito sovietico.

Ancora più grave e colma di conseguenze fu la crisi in Ungheria. Nel paese già da qualche mese vi erano state vibranti proteste sul modello di quelle che erano avvenute in Polonia. Quando il Governo ungherese manifestò l’intenzione di uscire dal Patto di Varsavia si scatenò, violentissima, la repressione sovietica. I carri armati dell’Armata rossa invasero il paese e causarono diverse migliaia di morti. Anche in questo caso, sebbene in maniera ancora più sofferta, il Pci fu costretto ad allinearsi, ma il costo politico di quella decisione fu elevatissimo. Alcuni settori del Partito, e soprattutto il sindacato, presero le distanze dalle posizioni del Pci. Tra le posizioni critiche vanno ricordate sia quella di Di Vittorio che quella di oltre un centinaio di intellettuali interni o vicini al Partito che sottoscrissero un duro manifesto di condanna. Nonostante tutto, le critiche, per lo speciale rapporto che legava il Partito ai i suoi militanti[15], non portarono ad una immediata fuoriuscita della maggioranza di quei dirigenti che avevano manifestato perplessità. Ma in tutta Italia la situazione per il Pci divenne difficilissima e si scatenò un clima di anticomunismo senza precedenti, anche a causa della posizione contraria all’intervento sovietico espressa dai socialisti. Il Pci si trovò, forse per la prima volta, del tutto isolato e la crisi di quell’anno, oltre ai cambiamenti sociali che caratterizzarono il boom economico, fu la causa principale dell’imponente crollo delle iscrizioni. Il Pci perse oltre 200.000 tesserati e da quel momento non raggiunse più i 2.000.000 iscritti[16].

Questa crisi dimostrò, però, la forza del Pci che, nonostante tutto, riuscì a reggere i duri attacchi[17]. L’VIII Congresso del Pci, svoltosi nel dicembre del 1956, non sembrò affatto quello di un partito sotto scacco, ma fu ricco di analisi e di proposte, significativamente preceduto da imponenti dibattiti che avevano pervaso nei mesi precedenti le sezioni e le federazioni. Il Partito rilanciò in quella assise la propria autonomia e prospettò, per la prima volta in maniera ufficiale, il superamento della concezione del “partito guida” e una “via italiana al Socialismo”. Le intuizioni del passato di Gramsci e di Togliatti, a cominciare dalle posizioni sulla democrazia italiana, furono portate avanti con maggiore convinzione. La “democrazia di tipo nuovo”, intesa come una fase transitoria che avrebbe dovuto portare in un secondo momento al Socialismo, il rinnovamento della classe dirigente del Partito, già iniziato dal 1954, e l’autonomia del sindacato furono le parole d’ordine di quello che sarebbe stato uno dei più importanti congressi della storia del Pci[18].

La principale conseguenza politica degli avvenimenti del 1956 fu il definitivo tramonto del Patto d’unità d’azione tra il Pci e il Psi. Il Psi di Nenni, che negli anni precedenti aveva profondamente subito il fascino dell’Unione Sovietica di Stalin[19], ripensò, prendendone completamente le distanze, la sua posizione riguardo al più importante Stato socialista. Contemporaneamente il Psi operò un avvicinamento, e questa volta solitario, all’area di governo e alla Dc e al Psdi soprattutto, che sembrò essere ricambiato da una politica dei partiti governativi sempre più vicina “all’apertura a sinistra”[20].

Nonostante le avanzate della Dc e del Psi, le elezioni politiche del 1958[21] costituirono per il Pci un’inaspettata e sostanziale tenuta, in quanto il Partito confermò il risultato delle precedenti elezioni. Il soddisfacente risultato elettorale non illuse il gruppo dirigente del Pci conscio sia di avere alle spalle il periodo più difficile, sia dell’impellenza di necessari cambiamenti nel Partito. Ma tutto quello che era successo nel 1956 e il miracolo economico erano stati compresi, rispetto alla classe dirigente del Partito, sicuramente meglio dal Segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio[22], il quale si era già confrontato, prima degli altri, con il problema del rapporto con l’Urss e con i nuovi bisogni dei lavoratori. Il sindacalista di Cerignola morì il 3 novembre del 1957, mentre era a Lecco per una manifestazione, ma la sua politica venne immediatamente ripresa nel Partito, soprattutto ad opera di Giorgio Amendola.

Dopo le elezioni del 1958 si fece avanti, sempre di più, la possibilità di un’entrata al governo dei socialisti, eventualità che non incontrava, almeno in quei mesi, un’accesa opposizione del Pci, che addirittura, nel suo IX Congresso, tenutosi nei primi mesi del 1960, manifestò la disponibilità di appoggiare un governo di “centro-sinistra”. Nel Congresso furono esplicitate anche le condizioni politiche che avrebbero subordinato l’appoggio del Pci ed esse consistevano nelle richieste di una politica estera meno “filoamericana” e di una politica interna di riforme sociali e democratiche[23]. All’inizio del 1960, la nuova maggioranza dell Dc, di matrice dorotea, che aveva scalzato la vecchia maggioranza fanfaniana, come nel suo classico “modus operandi”[24], temporeggiava e teneva sulla corda il Psi per una sua entrata al governo. Fu in questa complessa fase politica che avvenne la crisi del Governo Segni. Il Presidente della Repubblica Gronchi affidò l’incarico di formare un nuovo governo a Fernando Tambroni, della sinistra democristiana, che ottenne la fiducia con il voto determinante del Msi. L’Italia antifascista insorse, in tutta la Penisola si diffusero manifestazioni spontanee e gli scontri maggiori avvennero a Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza, dove, nel luglio del 1960, era in programma il Congresso del Msi. La veemenza delle proteste, che andarono addirittura oltre rispetto alle previsioni dello stesso Pci, spinsero alle dimissioni Tambroni e aprirono le porte “all’apertura a sinistra” e al “centro-sinistra”[25].


[1] Cfr. Agosti op. cit.
[2] Cfr. Colarizi op. cit.
[3] Cfr. Cossutta “Una storia comunista”, Rizzoli.
[4] Cfr. Pistillo op. cit.
[5] La Cgil veniva descritta dalla Civiltà Cattolica come un’organizzazione che lavorava per “minare alla base la consistenza economica del paese e la sua ripresa”, e la sua azione “disgregatrice e sovvertitrice” era subordinata “ai particolari fini della lotta politica di un partito asservito a una centrale straniera”. Cf. Pistillo op. cit.
[6] “Dopo la liberazione la ricostruzione della Fgci fu decisa dal Comitato Centrale del PCI nel marzo del 1949. Enrico Berlinguer ne divenne il Segretario, carica che avrebbe mantenuto sino al 1956. Berlinguer diede un grande impulso alla Federazione giovanile, che in quegli anni arrivò a contare 450.000 iscritti, e la proiettò con un ruolo di primo piano nel movimento comunista internazionale divenendo nel 1950 Segretario della Federazione Mondiale della Gioventù democratica. Molte furono le iniziative e le campagne portate avanti tra i giovani italiani e capillare era l’insediamento dell’organizzazione nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università.
… Nei primi anni cinquanta fu promosso, ad esempio, il cosiddetto Movimento dei costruttori, che aveva il compito di stimolare la militanza all’interno dell’organizzazione e venne inaugurato il grande movimento delle bandiere della pace, durante l’escalation della guerra fredda. Enrico Berlinguer nel 1951, anno del 30° anniversario della fondazione della Fgci, disse che la storia della Federazione giovanile “è stata la storia della gioventù italiana, della sua parte più cosciente ed attiva socialmente”.
… All’inizio degli anni ’60 cominciò a palesarsi il duplice problema del comunque sempre difficile rapporto con i giovani ed il legame con il Partito. In quegli anni, infatti, gli iscritti arrivano a 200.000 e la Federazione accentua i suoi tentativi di ricerca di un profilo autonomo.
Tra il 1961 e il 1966 Achille Occhetto fu il Segretario della Fgci.
Con l’esplosione del movimento del ’68 la Fgci attraversò una fase assai complicata e fu Renzo Imbeni, che della Fgci fu Segretario dal 1972 al 1975, a rilanciare l’azione della Federazione.
A Massimo D’Alema, Segretario della Fgci dal 1975 al 1980, spettò, invece, il difficile compito di affrontare la fase del movimento del 1977 e gli anni cupi della deriva del terrorismo.
Negli anni ’80 la Fgci fu guidata da Marco Fumagalli (dal 1980 al 1985) e da Pietro Folena (dal 1985 al 1989).
L'ultimo Segretario della Fgci, trasformatasi con la nascita del Pds in Sinistra Giovanile, fu Gianni Cuperlo. Cfr. Numero unico istituzionale di presentazione della storia della Fgci a cura della Direzione nazionale Fgci del P.d.c.i. .
[7] Cfr. Colarizi op. cit.
[8] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni per la Camera dei Deputati del 7 giugno 1953:
Pci 22,6% - Dc 40,1% - Psi 12,7%.
Il Pci ottenne 148 seggi alla Camera e 54 al Senato.
[9] Cfr. Pistillo op cit.
[10] Cfr. Agosti op. cit.
[11] Cfr. “1906-2006 La Cgil e i tuoi diritti”, Numero unico per il centenario della Cgil.
[12] Aldo Agosti op.cit.
[13] Cfr. Aldo Agosti op. cit.
[14] Togliatti era definito il “Migliore” per un diffuso apprezzamento delle sue doti politiche. Il soprannome fu usato anche dagli avversari politici, ovviamente con un senso dispregiativo. Cfr. Cossutta op. cit.
[15] Il Partito era come una Chiesa e la disciplina del militante una fede. Giuseppe Di Vittorio, ad esempio, fu costretto a fare autocritica sulla posizione assunta relativamente ai fatti di Ungheria.
Cfr. Simona Colarizi op.cit.
[16] Dati del tesseramento del Pci dal 1957 al 1968:
1957: 1.825.342 iscritti; 1958: 1.818.606 iscritti; 1959: 1.789.269 iscritti; 1960: 1.792.974 iscritti; 1961: 1.728.620 iscritti; 1962: 1.630.550 iscritti; 1963: 1.615.571 iscritti; 1964: 1.641.214 iscritti; 1965: 1.615.296 iscritti; 1966: 1.575.935 iscritti; 1967: 1.534.705 iscritti; 1968: 1.502.862 iscritti. Fonte citata.
[17] Cfr. Agosti op. cit.
[18] Cfr “Almanacco Pci ‘75” a cura della Sezione centrale stampa e propaganda Pci.
[19] Cfr. Andreotti op. cit.
[20] Cfr. Colarizi op. cit.
[21] Risultati dei maggiori partiti alle elezioni per la Camera dei Deputati del 25 maggio 1958:
Pci 22,7% - Dc 42,3% - Psi 14,2%.
Il Pci ottenne 149 seggi alla Camera e 59 al Senato.
[22] Cfr. “1906-2006 La Cgil e i tuoi diritti”, Numero unico per il centenario della Cgil.
[23] Cfr. “IX Congresso del Partito comunista italiano. Atti e risoluzioni”, Editori Riuniti.
[24] Cfr. Chiarante, “La Democrazia cristiana”, Editori riuniti.
[25] Cfr. Colarizi op. cit.